sabato 22 aprile 2006

RECENSIONE di Gianluca Grasso

Gli ultimi anni del secolo XX hanno riportato al centro dell’attenzione mondiale la questione religiosa, che molte volte, nel corso del “secolo breve”, era stata accantonata, in favore di ideologie che ponevano l’accento sulla dimensione materiale, o relegata nell’ambito della coscienza individuale. “L’11 settembre”, il fondamentalismo islamico, la crisi dell’Occidente e del relativismo hanno condotto a riflettere nuovamente sulle radici europee e sull’importanza che esse possono assumere per la costruzione del futuro del continente.
Parlare di Europa non vuol dire esprimere sempre il medesimo concetto. La parola “Europa” è, infatti, in grado di assumere significati sempre differenti a seconda dei periodi storici o della visuale prescelta dall’interprete. Sotto la medesima denominazione, ad esempio, accanto all’Europa continente ritroviamo la figlia del re fenicio Agenore, rapita secondo il mito da Zeus che apparve nelle forme di un toro. Guardando alla storia, d’altronde, è possibile notare come i suoi stessi limiti spaziali si modifichino nel tempo, includendo od escludendo la Russia, la Turchia, e i paesi dell’Est in genere. Il “significante” Europa, per acquisire di volta in volta “significato” deve essere necessariamente assunto nella cultura di riferimento. È necessario per questo chiedersi quale Europa stiamo costruendo.
Il dibattito sorto sull’eventualità di introdurre il riferimento alla tradizione religiosa e cristiana, innanzitutto, in seno alla Convenzione istituita per il varo della nuova Costituzione europea ha mostrato quanto sia sentito il tema delle radici e della dimensione religiosa. La mancata introduzione del riferimento alla tradizione religiosa che hanno plasmato l’anima dell’Europa ha tuttavia mostrato come “l’idea di Europa” propria di una certa elite politica sia quella di una costruzione astratta e burocratica, fondata sugli atti amministrativi e su una idea di laicità come unica religione civile. La mancata ratifica del Trattato costituzionale da parte di alcuni Stati, tra cui la stessa Francia i cui esponenti politici ne hanno fortemente voluto l’approvazione, mostra forse la crisi di questo progetto e la necessità di tornare a riflettere su quale Europa vogliamo effettivamente costruire.
Il libro di Giuseppe Brienza, Libertà ed identità religiosa nell’Unione Europea. Tra “Carta di Nizza” e Trattato Costituzionale, per i tipi Solfanelli, si colloca perfettamente in tale dibattito, contribuendo a dare risalto alla questione religiosa nell’ordinamento comunitario. Il tema viene affrontato in maniera documentata, con passione e competenza. Brienza non nasconde da che parte sta, lo dice sin dall’inizio: l’Europa che dimentica le sue radici non è la vera Europa. Partendo da tale assunto affronta la questione della dimensione religiosa nell’Unione Europea consentendo anche al lettore comune di accedere a notizie e a circostanze che non sempre risultano rappresentate dagli organi di informazione, con puntuale richiamo di interventi, dichiarazioni, saggi e relazioni resi in questi anni sul tema da studiosi e protagonisti del dibattito.
Particolarmente interessante risulta l’excursus dell’approvazione della Carta di Nizza e del Trattato costituzionale, letto alla luce dei rilievi critici di chi voleva dare un risalto adeguato al fenomeno religioso. Tali voci, come sappiamo, non sono state ascoltate con la dovuta attenzione ed è prevalsa in larga misura la linea laicista, di stampo francese, tesa a ridimensionare il fenomeno religioso, isolandolo nella coscienza dell’individuo ed equiparandolo alla libertà di pensiero e di coscienza. Particolarmente significativo risulta, in tal senso, il mancato coinvolgimento delle chiese e delle comunità religiose nella “Convenzione” designata all’elaborazione del Trattato costituzionale. Se il riferimento alle radici cristiane è stato omesso dal preambolo del Trattato, tuttavia, la Carta non è del tutto indifferente al fenomeno religioso. L’articolo I-52 prevede, infatti, che l’Unione europea rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri, rispetta ugualmente lo status delle “organizzazioni filosofiche” e non confessionali e mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni, riconoscendone l’identità e il contributo specifico. Tale articolo, che rappresenta comunque un’importante conquista - ed è stato osteggiato da alcuni stati membri, come la Francia, il Belgio, la Svezia ed il Lussemburgo, che hanno cercato di impedirne l’approvazione - mostra degli evidenti limiti. Le Chiese e le Comunità religiose, infatti, come annota puntualmente Brienza, risultano equiparate alle “organizzazioni filosofiche”, con un’assimilazione alle associazioni di diritto privato, «accentuandone una caratterizzazione privatistica a danno della loro rilevanza pubblica» (p. 93).
A fronte di un’Unione europea in larga misura indifferente al fenomeno religioso e valoriale, l’autore richiama l’esempio del Consiglio d’Europa, organismo internazionale, custode della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nel cui ambito risulta adeguatamente tutelata la libertà religiosa individuale, grazie anche alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche se la dimensione collettiva di tale libertà non riceve le medesime garanzie. L’art. 9, par. 2, della Convenzione europea prevede, al riguardo, che «la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Quella religiosa costituisce una dimensione importante della vita sociale. La nostra storia risulta indissolubilmente legata ad essa ed un’Europa che ignora o ridimensiona la sfera religiosa tende a cancellare le proprie radici. Il Cristianesimo ha lasciato impresso un segno indelebile nella cultura occidentale, senza il quale non si sarebbe potuta sviluppare - per converso - neanche la cosiddetta tradizione laica. Inoltre, la prima vera unificazione europea è dovuta al Sacro Romano Impero di Carlo Magno che il giorno di Natale dell’800 ricevette da Papa Leone III la sua consacrazione, divenendo «Imperatore dei romani». Come riconosceva anche Benedetto Croce, l’affermazione della centralità delle tradizioni cristiane non è «pia unzione né ipocrisia (…) ma semplice osservazione della realtà».

Gianluca Grasso

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